Non si conosce che col cuore

Consocere col cuore

Spesso mi sento rivolgere la domanda ‘come hai iniziato?’ E l’imbarazzo arriva puntuale ogni volta.

Per quanto mi sia sforzato, non ho ancora trovato un inizio, un momento anche solo vagamente identificabile come punto di partenza di quello che è un modo di relazionarmi all’ambiente, dal quale per semplice conseguenza derivano tutto il mio lavoro e la mia ricerca.
Nel tentativo di avvicinarmi il più possibile a quel momento fatidico in cui incrociai il sentiero di Flora, sono tornato fino all’infanzia e li ho trovato un ricordo dipinto con i colori di Waterhouse.

Ricordo di aver trovato nell’angolo più remoto di una dispensa, durante le mie esplorazioni casalinghe, un tesoro inestimabile (e del quale nessuno ancora oggi ricorda la provenienza) che mi affascinò per sempre.
Si trattava di un libro sulle piante officinali, con delle illustrazioni tanto belle da farmi venire voglia di conoscere dal vivo quegli esseri che mi apparivano così ‘significanti’.

Mi perdevo nell’osservazione di ogni dettaglio di quelle creature misteriose e schive, sempre pronte a disperdersi in parole-nascondiglio come ‘erbe’, ‘prato’, ‘infestanti’; ogni dettaglio piano piano iniziava a svelarmi un segreto. Anno dopo anno scoprivo che nel tronco dell’Alloro era nascosta una ninfa più veloce della luce, che la Calendula ha il colore delle lacrime di Venere  e mille altri particolari, in ogni spina, ogni diversa consistenza di foglia, ogni colore e forma ha iniziato a raccontarmi storie immortali, che ancora non smettono di affascinarmi con nuovi incanti.

Così Flora mi ha ammaliato, ed io estasiato non posso che continuare a perdermi nell’intricata rete di significati che costantemente tesse, perchè l’essenziale è invisibile agli occhi.

Oggi son detta Flora, ma ero una volta Clori; nella pronuncia latina fu alterata la forma greca del mio nome.
E, Clori, ero una Ninfa delle Isole Fortunate, ove tu sai che felicemente visse gente fortunata.
E’ difficile alla mia modestia dire quanta fosse la mia bellezza; essa donò a mia madre per genero un Dio.
Si era in primavera, e io me ne andava errando; mi vide Zèfiro, e io mi allontanai; prese a inseguirmi, e io a fuggire.
Ma fu più forte di me.
Borea, come aveva osato prendersi una donna nella casa di Eretteo, aveva dato al fratello ogni diritto di rapina.
Ma zefiro fece ammenda della violenza dandomi il nome di sposa; non v’è alcun motivo di lamento nel mio letto coniugale.
Io godo di eterna primavera; l’anno è sempre fulgido di luce, gli alberi son ricchi di fronde, la terra rivestita di verzura.

-Ovidio-